Sempre più numerose, tanto da avere superato i colleghi uomini. Ma trovano ancora forti difficoltà e resistenze nell’ascesa professionale.
“La difficoltà nella progressione di carriere riguarda tutte le specializzazioni. E’ un fatto che dispiace, perché significa che in questa professione come in altre per le donne persistono pregiudizi di carattere culturale”. Lo ha detto la presidente del Senato Elisabetta Casellati incontrando nella sua residenza a Palazzo Giustiniani sei donne presidenti di società scientifiche affiliate alla Federazione italiana società medico-scientifiche (Fism).
La seconda carica dello Stato è consapevole delle difficoltà, che il Covid non ha potuto che acuire, di una grande fetta di professionisti della salute, un mondo sempre più ‘rosa’ dal momento che la presenza femminile surclassa quella maschile
Ma le donne, lo sanno bene i signori uomini, difficilmente si perdono d’animo e alle difficoltà sanno rispondere con soluzioni concrete. Come, ad esempio, la creazione del “numero verde di utilità sociale” (800 189 441), voluto dalle Società medico scientifiche, già lo scorso anno, con l’obiettivo di fornire all’utenza femminile – attraverso le risposte di 100 donne medico volontarie di diverse specialità – informazioni e consigli sulla salute, non solo sugli aspetti inerenti la pandemia.
L’avvocato Casellati lo ricorda sottolineandone la validità: “Un servizio importante, che potremmo definire “donna chiama donna” o “a donna risponde una donna”…un orecchio sempre pronto alle tante difficoltà incontrate nella pandemia non solo sotto il profilo della salute ma anche su quello delle violenze domestiche”.
Ad una donna la diagnosi del paziente 1
“Le donne, sin da subito, sono state in prima linea nella gestione della pandemia”. Lo ricorda Annalisa Malara, l’anestesista dell’ospedale di Codogno che per prima ha intuito la diagnosi del paziente 1. Era il 19 febbraio 2020. Tre ricercatrici italiane dell’Istituto Spallanzani sono poi riuscite a isolare il nuovo coronavirus, passo fondamentale per sviluppare nuove terapie e vaccini.
“E le donne avranno un ruolo fondamentale anche nella fase post-pandemia”. Ne è convinta Antonella Vezzani, presidente dell’Associazione italiana donne medico (Aidm), una delle sei presidenti donne delle Società medico scientifiche affiliate alla Fism (Federazione italiana società medico-scientifiche) ricevute il 27 aprile dalla presidente del Senato, pochi giorni dalla Giornata nazionale per la salute della donna, per discutere della situazione delle donne medico italiane e delle loro difficoltà acuite dall’emergenza pandemica.
La medicina nelle mani delle donne
La prima donna a laurearsi nell’Italia unita fu Ernestina Paper, nel 1877. Cent’anni fa le donne medico erano circa 200. Oggi, nel terzo millennio, la medicina è sempre più declinata al femminile.
Nei 37 Paesi Ocse i medici di sesso femminile viaggiano verso il 50% (nel 1990 erano il 29%, nel 2000 il 38%, nel 2015 il 46%). L’Italia è sotto la media con il 40%, ma la percentuale è in salita. Tra il 1998 e il 2018, infatti, non c’è stato anno in cui non siano state ammesse più donne che uomini all’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione medica. Secondo i dati della Fnomceo, sono cresciute le laureate tra i 25 e i 54 anni che hanno intrapreso la carriera sanitaria, anche se gli uomini iscritti agli Ordini provinciali risultano in lieve maggioranza: questo solo perché nella fascia di età 55-75 risulta una presenza considerevole di professionisti brizzolati che non dismettono, anche solo idealmente, il camice bianco.
Il ‘sorpasso’ rosa comunque c’è stato, almeno tra i professionisti che, quasi sicuramente, sono ancora in attività: i dati elaborati dal Ced della Federazione rilevano sotto i 65 anni una presenza maggiore di medici donna.
Dunque, la tendenza al rialzo femminile è ormai avviata, anche se stando ai dati di Anaao-Assomed, alle donne appare ancora preclusa la possibilità di fare carriera: solo una su 50 diventa Direttore di Struttura Complessa e 1 su 13 responsabile di Struttura Semplice. E anche in discipline in cui è più elevata la quota rosa, la loro presenza nelle posizioni apicali è molto bassa. I Consigli degli Ordini, invece, sono sempre più al femminile e aumentano anche le donne ai vertici. Molte di meno, ma in forte crescita, le odontoiatre, il 27%. Nelle fasce d’età più giovani però già si registra una sostanziale parità.
Rimane comunque la necessità che anche i sistemi organizzativi tengano conto dell’incremento di presenza femminile, laddove è registrato, prospettando contratti che contemperino modalità flessibili di impiego per le donne che siano impegnate anche nella cura della propria famiglia.
Le Regioni italiane discriminanti
In Italia nel 2019 sono 1.100 le Scuole di specializzazione sanitarie, accreditate dal ministero dell’Istruzione e dal ministero della Salute. Alcune regioni presentano più corsi di specializzazione di altri tra l’area medica, clinica e chirurgica. La Sardegna è la regione con la percentuale di iscritte a Chirurgia in media più alta, il 48%. Sorprende Urologia che registra negli ultimi tre bienni analizzati il 40% di iscritte donne (mentre in Italia è il 24%). La Campania è, invece, la regione più maschilista di tutte: negli ultimi vent’anni in media solo il 35% degli iscritti a Chirurgia è donna, ma il tasso di crescita del 4% fa ben sperare. Anche la Calabria ha una percentuale più bassa di donne (in media 36%), ma anche qui la crescita delle iscritte dà buone proiezioni: dopo Lazio (+15%) e Piemonte (+11%), negli ultimi vent’anni le dottoresse nella punta dello Stivale sono aumentate del 9%.
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