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Giurisprudenza Civile

Il riparto dell’onere probatorio

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Al paziente spetta dimostrare che la condotta negligente del sanitario abbia provocato la patologia o il suo aggravamento, al sanitario dimostrare che il fatto sia stato imprevedibile e non evitabile. Le eventuali omissioni della cartella clinica ricadono sul sanitario.

 

La Corte di cassazione, con la pronuncia n. 4424, pubblicata 18/02/2021, torna a ribadire quale sia il riparto dell’onere probatorio gravante, rispettivamente, sul paziente e sul medico e sulla struttura sanitaria.

La Corte ricorda che “è onere del creditore della prestazione sanitaria [il paziente, n.d.r.] provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento o l’insorgenza della situazione patologica e la condotta del sanitario, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio è, invece, onere della parte debitrice (il sanitario e la struttura in cui egli opera) provare la causa imprevedibile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione”.

Sicché graverà sul paziente dimostrare che il danno per il quale chiede il risarcimento sia riconducibile alla condotta negligente del medico. Acquisita la dimostrazione, spetterà al medico e alla struttura sanitaria provare che la patologia e il suo aggravamento siano insorti per causa non imputabile. Tale “sdoppiamento” del nesso causale, in parte a carico del paziente, poi a carico del medico e della struttura sanitaria, è detto anche doppio ciclo causale.

Sul punto, la pronuncia richiama la più nota ed articolata decisione della Corte di cassazione n.28991 11/11/2019, la quale è parte di quelle dieci pronunce conosciute come il decalogo di San Martino, con le quali la terza sezione civile della suprema corte ha approntato una organica trattazione della responsabilità medica.

La predetta ordinanza n. 28991/19, dalla prosa non propriamente cristallina, dopo aver ripercorso la distinzione tra causalità materiale e causalità giuridica, e dopo aver premesso che nell’obbligazione dell’operatore sanitario il bene tutelato è la salute del paziente, ha affermato che “La violazione delle regole della diligenza professionale non ha dunque un’intrinseca attitudine causale alla produzione del danno evento. Aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie non sono immanenti alla violazione delle leges artis e potrebbero avere una diversa eziologia. Si riespande così, anche sul piano funzionale, la distinzione fra causalità ed imputazione soggettiva sopra delineata. Persiste, nonostante l’inadempienza, la questione pratica del nesso eziologico fra il danno evento (lesione dell’interesse primario) e la condotta materiale suscettibile di qualificazione in termini di inadempimento. Il creditore ha l’onere di allegare la connessione puramente naturalistica fra la lesione della salute, in termini di aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie, e la condotta del medico e, posto che il danno evento non è immanente all’inadempimento, ha anche l’onere di provare quella connessione, e lo deve fare sul piano meramente naturalistico sia perché la qualifica di inadempienza deve essere da lui solo allegata, ma non provata (appartenendo gli oneri probatori sul punto al debitore), sia perché si tratta del solo profilo della causalità materiale, il quale è indifferente alla qualifica in termini di valore rappresentata dall’inadempimento dell’obbligazione ed attiene esclusivamente al fatto materiale che soggiace a quella qualifica. La prova della causalità materiale da parte del creditore può naturalmente essere raggiunta anche mediante presunzione”.

In sintesi, il paziente può bensì limitarsi ad affermare, senza dimostrare, che il medico abbia violato le leges artis, e cioè limitarsi ad affermare l’inadempimento del sanitario, poiché sarà quest’ultimo a dover dar prova di aver esattamente adempiuto, ma dovrà necessariamente dimostrare che l’inadempienza professionale abbia causato il danno lamentato (“la violazione delle regole della diligenza professionale non ha dunque un’intrinseca attitudine causale alla produzione del danno evento. Aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuove patologie non sono immanenti alla violazione delle leges artis e potrebbero avere una diversa eziologia”, Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28991).

In soccorso del paziente, e torniamo quindi alla decisione n. 4424/2021, interviene la eventuale incompletezza della cartella clinica. Difatti, qualora la lacuna documentale non consenta l’accertamento del rapporto causale tra la condotta del medico e il danno evento, sarà sufficiente dimostrare che il professionista abbia posto in un essere una condotta negligente astrattamente idonea a provocare la conseguenza pregiudizievole, poiché non può ricadere sul paziente la cattiva gestione della cartella clinica (“Tale prova può essere raggiunta in via presuntiva anche per il tramite di una cartella medica compilata in maniera incompleta, posto che tale circostanza non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria, quando proprio tale incompletezza abbia reso impossibile l’accertamento del relativo nesso eziologico e il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a provocare il danno”, Cass. Civ. 4424/2021).

Una volta che il paziente abbia dimostrato che tra la condotta del medico e il danno esista, anche soltanto in ipotesi, un nesso causale, ma la concreta dimostrabilità sia impossibile per le carenze della cartella clinica, null’altro dovrà fare il danneggiato, perché sarà onere del sanitario e della struttura dimostrare che il danno sia dovuto a fatto non imputabile.

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