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Giurisprudenza Penale

Quando l’imperizia non genera responsabilità

Senza giudizio controfattuale non è possibile affermare la responsabilità del medico

L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, anche lieve, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica, qualora l’evento si sia verificato per colpa, anche lieve, da negligenza o imprudenza; se l’evento si è verificato per colpa derivante da imperizia, quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; se l’evento si è verificato per colpa anche lieve a causa di imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche assistenziali o risponde per colpa grave qualora l’evento derivi da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico.

L’errore del sanitario, non equivale alla sussistenza della responsabilità penale. Difatti nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente porre in essere un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.

Sul punto si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, sez. IV Penale, con la sentenza n.4063
del 2020.

La vicenda trae origine dalla sentenza con cui la Corte di appello di Torino, concedeva ad un medico radiologo, i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato penale, confermando nel resto la pronuncia di responsabilità a carico del sanitario per il reato di omicidio colposo in danno di un paziente a seguito di una emorragia cerebrale, contestando al medesimo di non avere evidenziato nel referto emesso all’esito della TAC effettuata sul paziente, la presenza di lesioni encefaliche.

Tale comportamento avrebbe indotto il medico di pronto soccorso che aveva richiesto l’esame diagnostico a dimettere il paziente, senza provvedere ad ulteriori approfondimenti; dopo poco il paziente moriva.

Avverso la sentenza di condanna per omicidio colposo, il medico radiologo proponeva ricorso per cassazione a mezzo del suo difensore, lamentando la mancata applicazione del D.L. n. 158 del 2012, art. 3 convertito in L. n. 189 del 2012.

Difatti la pronuncia di responsabilità, così come lamentato dalla difesa, attribuisce al ricorrente una colpa per negligenza, per non avere individuato nella TAC la lesione encefalica presente nel paziente, ma la Corte di merito, nell’esame della penale responsabilità dell’imputata non avrebbe tenuto conto della normativa di cui all’art. 3 della legge Balduzzi, secondo la quale il medico specialista avrebbe potuto rispondere di negligenza qualora si fosse rifiutata di refertare l’esame.

Contrariamente come risulta dall’atto di appello, il radiologo, era stata chiamata a refertare una TAC senza mezzo di contrasto e pertanto ogni successiva decisione in ordine alla gestione del paziente era di competenza del medico di pronto soccorso.

Erano inoltre assenti nel comportamento tenuto dal medico radiologo anche profili di responsabilità ascrivibili ad imprudenza o imperizia, in quanto la medesima spiegava le ragioni per cui non aveva individuato il lieve spandimento emorragico attraverso l’esame strumentale ed ha riferito che il paziente accusava una semplice cefalea, la quale, era anche in regressione dopo la somministrazione di un antidolorifico.

Dagli atti emerge infatti, che la condotta del ricorrente era stata assolutamente conforme alle linee guida cui doveva attenersi, tenuto conto che la medesima non aveva partecipato all’attività di anamnesi del paziente, non essendo suo compito effettuarla, ma si sarebbe solamente attenuta a svolgere l’accertamento richiesto dal medico del pronto soccorso. L’ulteriore consulto con uno specialista erano di esclusiva competenza del medico di PS, il quale avrebbe dovuto procedervi anche in caso di TAC negativa.

La Corte di appello di Torino, nel rigettare le argomentazioni poste a fondamento dell’atto di appello e dei successivi motivi aggiunti, non teneva peraltro in considerazioni le numerose contraddizioni emergenti nel corpo della perizia. Come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, il compito del radiologo è di eseguire l’esame radiografico ed interpretarlo, mentre ogni altra decisione sull’eventuale esecuzione di ulteriori esami spetta al medico che ha in cura il paziente.
Ha quindi mancato di indicare il grado della colpa, in relazione al quale viene in considerazione l’aspetto della difficoltà di lettura della TAC, ammesso peraltro da uno dei componenti del collegio peritale esperto in radiologia.

Proprio dall’imprescindibile grado della colpa discendono conseguenze rilevantissime, come hamesso in evidenza la difesa. Se il grado della colpa, alla luce del decreto Balduzzi, è la premessa indispensabile per discernere l’ambito del penalmente rilevante nella materia della colpa medica, con l’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, il parametro dell’imperizia ha assunto maggior rilievo. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno affermato il principio di dirittocitato nell’introduzione: L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da Imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico” Sez. U. n. 8770 del 2017.

In conseguenza di tale assetto normativo ed interpretativo, si dovrà anche verificare in concreto quale sia la legge penale più favorevole, in relazione a fatti risalenti ad epoca antecedente all’ultimo intervento legislativo, come nel presente caso. Ciò, evidentemente, in virtù di quanto previsto dalle disposizioni che stabiliscono la retroattività della legge più favorevole.

In conclusione, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare lesistenza di linee guida, stabilire il grado di colpa tenendo conto del discostamento da tali linee guida o, comunque, del grado di difficoltà dell’atto medico, stabilendo la qualità della colpa (imprudenza, negligenza imperizia) ed il suo grado al fine di verificare se il caso rientri in una delle previsioni più favorevoli.

L’errore infatti, non vale a tradursi nell’immediato riconoscimento della responsabilità penale. Nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, Sentenza n. 30469 del 13/06/2014, Rv. 262239 – 01).

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