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Giurisprudenza Civile

La responsabilità professionale ai tempi del covid

Errori e carenze causati dalla pressione dell’emergenza

Se nella fase iniziale della pandemia medici, infermieri e operatori sanitari, in genere, sono stati acclamati dai balconi come veri eroi, ad oggi i medesimi corrono il rischio di trasformarsi in imputati, ritenuti responsabili dei danni causati ai pazienti.

Una responsabilità che risulta articolata sia sotto il profilo penale sia sotto quello civile, inerente da un lato l’attività professionale del medico e dall’altro l’attività sanitaria della struttura.
Ma in assenza di Linee Guida o buone pratiche mediche cui far riferimento, sono diverse le tematiche da affrontare: in primo luogo ci si chiede se sia possibile fondare una responsabilità giuridicamente rilevante per l’operatore sanitario e se la legge Gelli-Bianco, sulla responsabilità professionale possa ritenersi adeguata su questo fronte; inoltre la norma generale di cui all’art 2236 c.c., che esclude la responsabilità risarcitoria del medico, se questi ha agito senza negligenza ed ha operato in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà, può essere validamente utilizzata?

Il secondo aspetto su cui si deve focalizzare l’attenzione è quello del danno e la natura del medesimo, se sia patrimoniale, non patrimoniale o esistenziale, se siano risarcibili solo i danni direttamente determinati dal COVID o anche quelli provocati dalla impossibilità di accedere alla struttura sanitaria per curare patologie diverse.

Una soluzione potrebbe essere rappresentata dalla previsione normativa di cui all’art. 2236 c.c. sulla Responsabilità del prestatore d’opera: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave“, Ma tale norma risulta inadeguata sotto un duplice aspetto: anzitutto la giurisprudenza ha sempre fatto di questa disposizione un’applicazione decisamente restrittiva, riservandone la portata al solo profilo della perizia ed altresì, escludendone l’operatività in caso di negligenza o imprudenza, e limitando la nozione di “speciale difficoltà” all’ipotesi di casi clinici straordinari ed eccezionali. Inoltre la norma disciplina la responsabilità del singolo professionista, essendo quantomeno dubbia la possibilità di estenderne l’efficacia alla posizione della Struttura.

In realtà, a prescindere dall’opportunità di un tale richiamo normativo, è principio generale quello secondo cui non esiste colpa ove si ritenga che l’agente non potesse tenere una condotta difforme da quella effettivamente adottata. Il concetto di inesigibilità, del resto, costituisce da sempre il limite di imputazione della responsabilità civile o contrattuale, ma anche di quella penale.

Pertanto, sotto questo profilo, si tratta di valutare se sia esigibile, dall’Operatore o dalla Struttura Sanitaria, una condotta diversa da quella tenuta nel caso concreto, in termini di impegno professionale, di disponibilità delle risorse, di previsione dell’assetto organizzativo, alla luce dell’incontestabile eccezionalità dell’evento pandemico che il sistema sanitario sta affrontando.

Inoltre, è verosimile ritenere che risulterà assai arduo il riconoscimento giudiziale di una ipotesi di colpa sanitaria per vicende cliniche connesse al nuovo coronavirus; sul punto, la III Sezione Civile della Suprema Corte si è espressa ritenendo che vi siano già, nell’interpretazione della legge Gelli, indicazioni idonee a calmierare la materia e salvaguardare la posizione del personale sanitario.
In questo contesto si inseriscono le norme che il legislatore nazionale ha utilizzato per sostenere Medici e Strutture.

Tra queste rientra l’art. 117, comma 4, del DL n. 34 del 19 maggio 2020, cd “Rilancio”, che introduce un generalizzato, seppur temporaneo, blocco dei pignoramenti nei confronti di Aziende Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere, I.R.C.C.S., i quali tutti non sarebbero tenuti a rispettare ordini ed ingiunzioni di pagamento, ancorché di fonte giudiziale.
Da ultimo, è sempre in voga l’intenzione del Ministero della Salute di elaborare uno “scudo penale” per gli Operatori Sanitari e anche per i Dirigenti. Le tre possibili soluzioni in corso di valutazione consisterebbero:

  • in una scriminante tout court per le azioni e le omissioni poste in essere nel corso dell’emergenza o in conseguenza di essa;
  • nella limitazione della responsabilità penale al caso di dolo, con esclusione della colpa;
  • nella limitazione della responsabilità penale al caso di dolo e colpa grave, con esclusione della rilevanza della colpa lieve, in caso sia di negligenza, sia di imprudenza, sia di imperizia.

La responsabilità penale del Medico ai tempi del COVID-19

E’ fatto noto che le ipotesi di condanna dell’operatore sanitario vengono prevalentemente riservate a casi veramente gravi e censurabili. In proposito si rammenta la novella, di cui all’art. 590 sexies c.p., che ha introdotto una causa di non punibilità per le lesioni personali o la morte determinate da imperizia del Medico che abbia scelto adeguatamente e rispettato le raccomandazioni contemplate dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali, purché non versi in colpa grave.
In ogni caso in sede penale deve essere accertata l’esistenza del nesso causale, in termini di “elevato grado di credibilità razionale”, vale a dire la sostanziale certezza, oltre ogni ragionevole dubbio, criterio questo robustamente rigido rispetto a quello ben più mite della probabilità relativa, o “più probabile che non”, applicato nella sede civile.

Le strutture sanitarie e il Servizio Sanitario Nazionale

La gravità della situazione pandemica ha fatto sì che l’intervento su tutte le patologie non derivanti dal Covid-19 fosse rallentato. Difatti una situazione emergenziale, come quella in atto ormai da circa un anno, ha messo a dura prova il Servizio Sanitario Nazionale creando gravi disfunzioni nella tutela dei diritti del malato in tema di salute (art. 32 della Costituzione).

Esiste tuttavia un minimo di prestazioni sanitarie che devono comunque essere assicurate ai cittadini, vale a dire una soglia incomprimibile e invalicabile al di sotto della quale non si può scendere, pena la violazione della nostra Costituzione. Non è privo di rilievo, in proposito, il fatto che tale nozione sia stata esplicitamente inserita, con la riforma del 2001, nello stesso testo costituzionale, all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost., secondo cui i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali … devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale“.

Tutto questo ovviamente si riversa sugli assetti della responsabilità sanitaria. E’ chiaro, infatti, che il contenimento dei costi sollecitato dall’aziendalizzazione delle Strutture, non può andare a discapito dei cittadini utenti delle prestazioni sanitarie, ai quali devono comunque essere garantiti adeguati standards assistenziali.

Come ha evidenziato anche recentemente la Suprema Corte, il “rischio di impresa“ deve essere sopportato nella sua interezza da chi l’impresa esercita, senza possibilità di riversarlo sulle spalle degli utenti, ma nemmeno a danno del personale sanitario di cui l’Azienda Ospedaliera si avvalga nell’esercizio della propria attività.
Ecco perché, allora, resta assolutamente confermata l’opportunità della scelta, fatta dal legislatore nel 2017, di incentivare l’azione risarcitoria dei pazienti nei confronti della Struttura Sanitaria, scoraggiando quella verso il Medico; in questa ottica inoltre si può ancora limitare ulteriormente “a monte” il coinvolgimento del Medico nel processo, introducendo una vera e propria improponibilità dell’azione civile nei suoi diretti confronti.

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