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Consenso informato

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Nell’obbligo di informare il paziente la messa in sicurezza dell’attività dello specialista

Il consenso informato non deve essere considerato una mera prassi burocratica, bensì un valido strumento per permettere al sanitario di condividere la responsabilità diagnosticoterapeutica con il proprio paziente, il quale deve, però, potersi sottoporre alla prestazione sanitaria o ad interventi e trattamenti anche invasivi con libertà e consapevolezza.

E proprio in questo senso si esprime la  Corte costituzionale nella sentenza 23.12.2008 n. 438, con la quale ribadisce che “….il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, che “la libertà personale è inviolabile”, e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 213 e 32 Cost. pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e il fondamentale diritto alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere più chiare possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32 Cost., comma 2.

In buona sostanza, il paziente ha diritto ad avere informazioni dettagliate sulla natura dell’intervento medico e/o chirurgico, sulla portata ed estensione, sui rischi , sui  risultati conseguibili e sulle possibili conseguenze negative.

Molto interessante sull’argomento è la recentissima sentenza del Tribunale di Alessandria, in cui ancora una volta si affronta la spinosa questione del Consenso informato e dell’impatto che ha nell’ambito dell’attività sanitaria.

Nel caso in esame, parte attrice conveniva in giudizio la Casa di Cura presso la quale aveva svolto un intervento routinario, correttivo dell’alluce valgo del piede sinistro, invocandone la responsabilità contrattuale della medesima, nonché il comportamento colposo del medico che aveva effettuato l’intervento, invocando altresì la mancata prestazione del consenso informato.

Difatti, parte attrice nel proprio atto introduttivo lamentava la mancanza di una precisa informazione sul tipo di intervento al quale si sarebbe sottoposta, nonché sulle altre tipologie di intervento alle quali avrebbe potuto ricorrere e per questo chiedeva la condanna in capo alla Casa di Cura del risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, asseritamente subiti.

Nel merito, pertanto, è opportuno osservare come la problematica relativa al consenso vengasuperata, sotto numerosi aspetti: in primo luogo, si fa riferimento alla produzione del modulo di consenso informato sottoscritto dalla parte attrice il giorno dell’intervento, ritenendo il Giudice che un diritto al risarcimento del danno poteva maturarsi solo nel caso della mancata prestazione da parte del paziente così come ribadito nella nota Sentenza della Suprema Corte n. 2854 del 13/02/2015.

In secondo luogo, analizzando la vicenda de quo nell’ottica di quanto affermato dalla recente sentenza della Suprema Corte n. 28985/2019, che in modo chiaro e scrupoloso analizza tutti i casi conseguenti ad una omessa o insufficiente informazione, appare evidente come ci si trovasse davanti ad un intervento svolto a regola d’arte, per il quale parte attrice che lamentava un peggioramento delle condizioni di salute, avrebbe dovuto dimostrare anche attraverso presunzioni, che se fosse stata più compiutamente informata avrebbe rifiutato l’intervento.

Essendo in capo alla parte attrice l’onere di fornire compiutamente tale prova, e non avendovila medesima provveduto, non può ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza sul sostenuto danno alla salute lamentato.

Inoltre anche in relazione alla lesione del diritto all’autodeterminazione, parte attrice non ha indicato quale sarebbe stato il suo comportamento alternativo ove fosse stata adeguatamente informata. In altre parole, esisteva un’alternativa terapeutico-chirurgica oppure, ad esempio, avrebbe accettato puramente e semplicemente le conseguenze di un mancato intervento?

A fronte di quanto esposto, il Giudice rigettava la domanda di parte attrice.

Al fine di fornire un quadro completo su quanto evidenziato dalla Sentenza Suprema Corte n. 28985/2019, sopra citata, su cui poi il Tribunale di Alessandria trae spunto per risolvere la questione sopra esposta appare opportuno indicare che nel caso di una omessa o insufficiente informazione resa in ambito del consenso informato, possono verificarsi le seguenti situazioni:

A) “omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi, nelle medesime condizioni, “hic et nunc”: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale;

B) omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;

C) omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute (inteso anche nel senso di un aggravamento delle condizioni preesistenti) a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute – da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito – andrà valutata in relazione alla eventuale situazione “differenziale” tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto”;

D) omessa informazione in relazione ad un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, cui egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi: in tal caso, nessun risarcimento sarà dovuto”;

E) Omissione/inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato danno alla salute del paziente, ma che gli ha tuttavia impedito di accedere a più accurati ed attendibili accertamenti (come nel caso del tri-test eseguito su di una partoriente, senza alcuna indicazione circa la sua scarsa attendibilità e senza alcuna, ulteriore indicazione circa l’esistenza di test assai più attendibili, quali l’amniocentesi, la villocentesi, la translucenza nucale): in tal caso, il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, alla autodeterminazione sa risarcibile (giusta il giàrichiamato insegnamento del giudice delle leggi) qualora il paziente alleghi che, dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione, gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente – salva possibilità di provata contestazione della controparte”.

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