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Contagi da Covid-19 per medici, infermieri e altri dipendenti di strutture sanitarie

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Quali sono le conseguenze nell’ambito del rapporto di lavoro se il medico, l’infermiere o altro dipendente di struttura sanitaria contrae il Covid-19 causa lo svolgimento della propria attività lavorativa e/o, comunque, nell’ambiente di lavoro?

Con nota integrativa del 17 marzo 2020 l’Inail ha fornito chiarimenti in merito alla gestione dell’astensione dal lavoro del personale dipendente di strutture sanitarie, esposto al contagio del nuovo coronavirus.

In particolare, con la suddetta nota, l’Istituto ha chiarito che i contagi da Covid-19 di medici, infermieri e altri operatori di strutture sanitarie in genere, dipendenti del Servizio sanitario nazionale e, in generale, di qualsiasi altra Struttura sanitaria pubblica o privata assicurata con l’Istituto medesimo, avvenuti nell’ambiente di lavoro oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa, sono inquadrati nella categoria degli infortuni sul lavoro (“In tale ambito di affezioni morbose inquadrate come infortuni sul lavoro, si ritiene di ricondurre anche i casi di Covid-19 dei lavoratori dipendenti del Servizio sanitario nazionale e, in generale, di qualsiasi altra struttura sanitaria pubblica o privata assicurata con l’Istituto, ossia, medici, infermieri e altri operatori sanitari in genere, laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”).

Tale concetto è stato successivamente confermato dall’Ente medesimo con la circolare n.13 del 3 aprile 2020.

Nella sostanza, quindi, l’Inail ha inquadrato le affezioni che dovessero colpire i lavoratori espressamente richiamati nei suddetti documenti come infortunio sul lavoro. Ciò ha fatto, da un lato, sulla scia del consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di malattie infettive e parassitarie che prevede che la causa virulenta è equiparata alla causa violenta, e, dall’altro, alla luce delle disposizioni della Circolare 74/1995 (Linee guida per la trattazione di malattie infettive e parassitarie).

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Orbene, l’inquadramento operato dall’Istituto è certamente di maggior favore per l’assicurato (nel caso che ci occupa, l’operatore sanitario) in quanto, in via generale, per questa tipologia di malattie risulta oltremodo complessa l’individuazione del momento specifico del contagio e di conseguenza dell’occasione di lavoro.

L’Inail, per non rendere troppo gravoso l’onere probatorio a carico dell’istante, ha adottato il principio di presunzione semplice d’origine, mutuato dall’art. 2729 cod. civ., facendo propri i principi fissati dalla Corte di Cassazione (si vedano sentenze n. 8058/1991 e n. 3090/92).

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Sempre con la Circolare 13/2020, l’Inail è intervenuto per chiarire cosa si intenda per rischio professionale nell’ambito del Covid-19, posto che tale infezione ha caratteristiche peculiari che la diversificano dalle altre infezioni morbose e parassitarie in ragione del contesto pandemico ed universale nel quale il contagio si colloca, che rende di fatto impossibile stabilire con certezza se la malattia sia stata contratta nell’ambiente lavorativo o sociale o, ancora, familiare.

Per tale ragione l’Inail ha distinto due fondamentali categorie di lavoratori.

Nella prima rientrano i lavoratori che esercitano la propria funzione con esposizione ad elevato rischio sanitario, nella seconda, tutti gli altri lavoratori.

In ragione dell’elevato rischio di contagio insito nella mansione espletata, gli operatori sanitari (oltre a tutti i lavoratori che esercitano la propria attività a contatto col pubblico/utenza) rientrano nella prima categoria.

Per essi, come detto, il rischio professionale viene individuato mediante l’applicazione del principio di presunzione semplice di origine (per la seconda categoria, invece, vale il criterio medico-legale, che privilegia gli elementi epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale).

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Cosa dovrà provare l’operatore sanitario contagiato nel caso fosse costretto ad agire giudizialmente per la tutela del proprio diritto in caso di mancato riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Inail?

La distinzione operata dall’Inail determina una netta diversificazione tra le due categorie di lavoratori in termini di onere della prova da assolvere in giudizio laddove l’Ente non riconosca l’infortunio, rendendo, di fatto, assai meno gravoso quello ricadente sull’operatore sanitario (o comunque su tutti i lavoratori che esercitano la propria attività a contatto col pubblico/utenza) rispetto a quello gravante sui lavoratori rientranti nella seconda categoria.

I primi, infatti, ai fini dell’assolvimento del suddetto onere, dovranno unicamente dimostrare la loro adibizione in concreto a lavorazioni proprie della prima categoria (od equiparabili ad esse), mentre sarà l’Inail a dover fornire la prova rigorosa che il contagio è avvenuto in un contesto extra lavorativo.

I secondi, invece, saranno costretti ad allegare e provare fatti o circostanze tali da far presumere che il virus sia stato contratto nell’ambiente di lavoro (con conseguente probabile necessità, da parte del Giudice designato, di nominare un consulente tecnico d’ufficio che valuti se i fatti allegati e provati consentano di ritenere probabile che il contagio sia avvenuto durante il lavoro), mentre l’Ente sarà onerato solo ed esclusivamente della controprova dei fatti allegati, oppure della prova dell’interruzione del nesso causale tra il lavoro e l’evento.

In conclusione, quindi, nel caso di azione giudiziale intrapresa da un operatore sanitario (o comunque da un lavoratore che esercita la propria attività a contatto col pubblico/utenza) nei confronti dell’Inail volta all’accertamento della sussistenza di un infortunio sul lavoro in caso di contagio da Covid-19, si verifica una vera e propria inversione dell’onere probatorio tra chi agisce in giudizio (il lavoratore) e la parte resistente nel giudizio medesimo (Inail).

In tal caso, infatti, a differenza di quanto avviene nei casi che vedono coinvolti i lavoratori appartenenti alla seconda categoria, graverà sull’Istituto e non sul lavoratore (nel caso che ci occupa, l’operatore sanitario) il compito di dover provare rigorosamente che il contagio non ha origine lavorativa ma è avvenuto in ambito diverso dall’esercizio delle funzioni dell’operatore sanitario.

Avv. Alessandro Arese

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